martedì 31 ottobre 2017

I vampiri esistono davvero?

Archeologia della paura


Halloween si avvicina e il nostro pensiero, complice la tv, va a licantropi, fantasmi e vampiri. Per anni il cinema e la letteratura ci hanno presentato questi ultimi come ombrose e romantiche figure, che di notte si aggirano cercando la loro preda per succhiare il suo sangue e a volte trasformala essa stessa in un vampiro. Per difendersi occorrono collane d'aglio, paletti preferibilmente di frassino e croci o acquasanta. 
Questo è quello che crediamo di sapere, ma la figura del revenant (cioè un individuo che ritorna dalla morte) è molto diffusa nel folclore di diverse popolazioni e acquisisce caratteristiche diverse in base al luogo e alle tradizioni prese in esame.
Ricerche recenti nel piccolo villaggio rurale polacco di Drawsko, hanno portato alla luce un cimitero del diciassettesimo secolo con alcune sepolture anomale. Quella nella foto a destra, per esempio, appartiene ad una donna morta a 50-60 anni, con una falce posizionata nella zona pelvica, una pietra sul collo e una moneta in bocca. Nel cimitero sono presenti altre 4 sepolture (un esempio nella foto a sinistra) con una falce posizionata sul collo, con il lato tagliente rivolto verso la gola e una moneta di rame in bocca. Tre sono di donne di diversa età e solo una appartiene ad un maschio adulto. 
Secondo Marek Polcyn, professore aggiunto presso il dipartimento di antropologia della Lakehead University del Canada e Elzbieta Gajda del Muzeum Zieni Czarnkowskjei, autori dello studio, questo ritrovamento si inserirebbe in quella che viene chiamata "archaeology of fear" (archeologia della paura), e che raccoglie tutte le manifestazioni di necrofobia intesa come la creazione di sepolture anomale legate al timore che alcuni morti possano ritornare. Ovviamente questa pratica viene spesso da noi associata al vampirismo.

Un caso unico?

Sepolture simili sono molto rare nell'Europa medioevale, ma non del tutto sconosciute. In uno studio del 2006 (BORZOVA, Z. 2006. Kos´aky v hroboch z obdobia vˇcasn´eho stredoveku na Slovensku. Slovensk´ a Arche´ologia 54: 209–37) vennero esaminate 72 sepolture con falci datate dal settimo al decimo secolo in Slovacchia. Le lame erano posizionate in varie parti del corpo: vicino alla testa, vicino al petto, all'addome, sulla zona pelvica (la maggioranza), ma nulla lascia supporre che questa singolare usanza sia legata al sesso dei defunti, all'appartenenza etnica, alla loro età o condizione sociale. Infatti queste tombe, come a Drawsko, erano per ogni altro aspetto (orientamento, corredo o posizione) simili alle altre.

Un mistero non ancora svelato

La pratica di posizionare falci di ferro all'interno di alcune tombe non ha ancora trovato una spiegazione universalmente accettata dagli studiosi. 
Una delle spiegazioni maggiormente diffuse riguarda la professione del defunto. Si pensa infatti che la falce, strumento utilizzato per tagliare l'erba o il grano, fosse associata alla professione di contadino o comunque richiamasse una particolare connessione del defunto con il mondo agricolo. Questo viene ritenuto particolarmente plausibile quando riguarda sepolture di donne o di individui con l'impugnatura dell'attrezzo in mano. Nel caso di Drawsko, i due autori rifiutano questa tesi in quanto le sole 5 sepolture con falce non rispecchiano l'importanza sociale ed economica che aveva l'agricoltura per le popolazioni del periodo.
Un'altra spiegazione considera le falci come simboli di potere e di prestigio. Esse infatti sono realizzate con il prezioso metallo il cui possesso, fin dalla protostoria, è associato a figure prestigiose come i capi tribù. Nel caso di Drawsko gli autori rigettano anche questa ipotesi. Infatti, come abbiamo già avuto modo di notare, niente altro (come gioielli o altri beni di lusso) differenzia questi individui dal resto dei defunti del cimitero. 
Le falci possono anche essere interpretate come armi. Infatti nella società degli Avari esse erano proprio il simbolo che identificava le sepolture di guerrieri. Montate su un lungo manico venivano anche usate, fino alla fine dell'alto medioevo, per tagliare l'erba da usare come foraggio per i cavalli. Per questo sono spesso associate nelle sepolture a briglie e finimenti che contraddistinguevano i cavalieri. Nel caso di Drawsko però, le falci sono associate in prevalenza a sepolture di donne e mancano gli altri riferimenti al ruolo di guerriero o cavaliere.
L'ultima ipotesi collega le falci al mondo magico-misterioso delle leggende e tradizioni orali della zona. Infatti i popoli slavi credevano che gli strumenti di ferro duri e taglienti, in modo particolare le lame e gli oggetti a punta, avessero un valore apotropaico: allontanavano gli spiriti maligni. La loro deposizione nelle tombe assicurerebbe così da un lato che i defunti rimangano tali e non risorgano per nuocere ai vivi, dall'altro per difendere il caro estinto dalle forze demoniache che si volevano impossessare della sua anima o del suo corpo. Queste usanze erano sicuramente molto sentite, tanto da perdurare anche in un contesto da secoli dominato dalla liturgia della Chiesa Cattolica che non vedeva di buon occhio le tradizione pagane.
Nel caso di Drawsko, il posizionamento della "lama alla gola" si può intendere come una minaccia al morto che deve rimanere nella tomba, o altrimenti verrà sgozzato.

Perché si ritorna dalla morte?

E' interessante notare come questa usanza pagana e legata ad un sistema di valori tradizionali, riemerga proprio nel diciassettesimo secolo, quando la Polonia è devastata da continue guerre che provocarono situazioni di miseria economica, malattie e precarietà della vita. In questa situazione che si prospettava dura e incerta, si tornò a cercare le cause delle proprie pene nei vecchi demoni delle tradizioni tramandate oralmente dai nonni e quando, dopo la morte di una giovane donna, il villaggio viene colpito da qualche calamità naturale (un'epidemia, una carestia, un'alluvione), si da la colpa agli spiriti maligni che hanno posseduto il corpo della ragazza e si corre ai ripari spolverando i riti e i controincantesimi del passato.
Infatti le ricerche etnografiche effettuate in Polonia hanno dimostrato che l'immaginario popolare di queste popolazioni è ricco di demoni che influenzano direttamente o indirettamente la vita delle persone. A questo proposito sono due le categorie che interessano questa ricerca: demoni che prendono le sembianze dei morti e persone vive che hanno poteri particolari. Nel secondo si tratta di persone in carne e ossa, ben conosciute all'interno della comunità, ma sono le particolari abilità dimostrate in vita o le cause della loro morte che li rendono particolarmente temibili per i vivi.
Morire di una morte violenta (annegamento, suicidio, impiccati, morte cruenta), o non poter usufruire, per varie ragioni, di alcuni riti accettati dalla comunità a garanzia del passaggio da uno stato ad un'altro (morire prima di aver ricevuto il battesimo, bambini nati morti o abortiti, bambini prematuri, donne morte in gravidanza o durante il parto), creano una situazione ambigua, quasi di stallo tra la vita e la morte e quindi diventano demoni. Inoltre fanno parte di questa categoria persone che in vita vengono accusati di avere, o credono essi stessi di possedere, qualità soprannaturali come le streghe, i lupi mannari, persone che possiedono "l'occhio del diavolo" o che possono influenzare gli eventi atmosferici.

Chi erano i nostri vampiri?

Alla luce di quanto detto finora, conosciamo meglio i nostri possibili demoni di Drawsko.
Prima di tutto abbiamo una giovane donna di 14-19 anni. Tra le 4 sepolture con falce appoggiata sulla gola, è la migliore candidata per una morte violenta. Anche se è sepolta con rito cristiano dentro al cimitero (cosa non concessa per esempio ai suicidi), forse la paura che si potesse trasformare in demone venne scongiurata proprio con la lama della falce posizionata sul collo.
La donna della tomba 60/2012, quella con la falce sulla zona pelvica, ha un'età più matura (50-60 anni) che fa pensare ad una morte naturale. Il fatto che avesse anche una pietra sul collo può significare che in vita fosse un membro importante della comunità, con abilità particolari che ne facevano temere il ritorno dalla morte. Il fatto che fosse una donna può farci pensare che sia stata una curatrice o una levatrice o un'altra professione collegata con il concetto di strega. Queste conoscenze spesso derivate dal mondo naturale, che potevano salvare una vita o provocare una morte, non venivano comprese dagli abitanti dei piccoli paesi rurali, che li accomunavano ai poteri soprannaturali dei demoni che tanto temevano.
Le altre tre sepolture, un uomo e due donne tutti tra i 30 e i 40 anni, potrebbero appartenere alla categoria degli stranieri. Infatti chi non era un contadino, o non era cattolico o non era nato nel villaggio in cui viveva, veniva visto con sospetto e spesso emarginato da resto della comunità. Se da vivo stava ai margini, tanto più avrebbe potuto farlo da morto e quindi ritornare come demone per tormentare i vivi. Le analisi effettuate sui denti dimostrano però che tutti gli individui del cimitero, compresi i nostri 3 presunti vampiri, avevano origini locali e hanno vissuto la loro vita nei pressi di Drawsko. Inoltre bisogna tenere presente che sono morti nel centro della loro vita, cosa che non permette di escludere una morte improvvisa ed inspiegabile a causa di qualche malattia.
Bisogna comunque tenere presente che in tutti e cinque i casi non si può escludere una concomitanza di cause. Alcune malattie o condizioni terminali, così come nascere prematuri o essere considerati stranieri non lasciano traccia sulle ossa e quindi non possiamo attribuirli con certezza ad uno o ad un'altro degli individui.

In conclusione, le sepolture con falce di Drawsko rappresentano il punto di arrivo di un complicato sistema di credenze che portava a vedere con sospetto alcune morti, considerate come negative per la comunità. Per scongiurare il ritorno di questi morti o la loro possessione, veniva posta una falce sul corpo, spesso con la lama rivolta verso la gola, come esplicita minaccia verso il demone.
Come avete notato, gli autori non parlano di rituali anti-vampiri, in quanto il panorama demoniaco della tradizione polacca è ricco di demoni che si possono impossessare dell'anima dei defunti oltre agli upìor, comunemente identificati con i vampiri. Non potendo essere certi del preciso significato di queste sepolture anomale, si preferisce identificare il rituale, più in generale, come anti-demoniaco. A conferma di questa tesi. possiamo notare come le sepolture di Drawsko non possiedano i tipici indicatori associati alle tombe di individui creduti vampiri: sono localizzate nel cimitero cristiano, sepolte con rituali cattolici, non ci sono evidenze che la tomba sia stata riaperta dopo la prima inumazione, il corpo non è stato dissacrato.
Quindi, se da un lato sarebbe facile cercare facili spiegazioni per le nostre credenze attuali proiettandole nel passato, non bisogna dimenticare che spesso il contesto è più complicato di quello che sembra e dobbiamo rassegnarci all'idea che non sapremo mai per certo chi erano i nostri 5 individui e come mai i loro concittadini decisero di seppellirli con una falce.

domenica 22 ottobre 2017

Folle di scienza

Incontro per divulgatori scientifici


In questo fine settimana ho partecipato, come uditrice, all'incontro per divulgatori scientifici Folle di scienza, a Strambino. Io ho potuto, purtroppo, partecipare solo agli interventi frontali, ma sono state due mattinate davvero interessanti, dato anche l'alto calibro degli oratori (Giuseppe Pellegrini di Observa, Walter Quattrociocchi della Ca' Foscari, Vincenzo Crupi, Università di Torino e Franco Aprà e Fabrizio Elia, Ospedale San Giovanni Bosco) e dei partecipanti.
Vorrei cogliere alcuni spunti generali e trasversali che sono emersi nei vari interventi e che mi hanno particolarmente colpito.

A che punto siamo?



Spesso chi tenta di divulgare idee e metodi scientifici o si occupa di debunking, si scontra con persone che hanno all'apparenza più tendenza di altre a credere a spiegazioni complottistiche o magico-misteriose. E altrettanto spesso ci si chiede come mai qualcuno accetti subito la spiegazione razionale e supportata da prove, mentre altri no. Secondo Giuseppe Pellegrini, nel suo intervento dedicato a tracciare la situazione attuale, una causa può essere ricercata nel crollo dell'idea di infallibilità della scienza e della totale fiducia nell'esperto, che ha caratterizzato la nostra storia passata. A questo si associa il concetto, discusso anche in altri interventi, che la scienza non vada infusa dall'alto, nozionisticamente, ai comuni mortali, ma che ci debba essere un continuo dialogo con il pubblico. A questa riflessione, io aggiungerei che più che insegnare, per esempio nelle scuole, gli assunti, i punti di arrivo della ricerca, bisognerebbe far entrare i bambini e i ragazzi in confidenza con il metodo scientifico, cioè con i meccanismi e i sistemi di pensiero che hanno portato a quelle scoperte (cosa che tento di fare nei miei percorsi didattici). Meccanismi che potranno servire in futuro per capire quando una notizia è credibile e quando no.
Ad avvalorare questa tesi si pone la constatazione, sempre di Giuseppe Pellegrini, che non basta dare tante informazioni al pubblico per generare conoscenza o sostegno, ma bisogna ascoltare le sue domande e interagire con esso.

L'era delle fake news


Di fake news ha parlato Walter Quattrociocchi in un intervento tanto interessante quanto denso di contenuti. Studiando i social in un progetto che prende in considerazione diversi campi disciplinari, sono sorte alcune constatazioni generali che certamente fanno riflettere molto i divulgatori scientifici. Riporto solo alcuni spunti, perché mi sarebbe impossibile riprodurre la complessità del discorso. 
Il fulcro del''intervento è stato, secondo me, il concetto di confirmation bias e cioè quel fenomeno secondo cui quando cerco un'informazione su internet, ho già un'idea formata nella mia testa e tenderò ad essere attratta dai link che la confermano e ad ignorare quelli che invece la smentiscono. A riprova di questa affermazione c'è l'osservazione che i social si spaccano in due: da una parte quelli che seguono solo le informazioni legate al complottismo o ai misteri, dall'altra quelli che seguono link legati a notizie scientifiche o pagine di debunking (meno del 10% del campione studiato).
Inoltre a questo punto entra in scena un'altro fenomeno sociale chiamato identification bias: se una persona parla con un'altra che la pensa come lui, le loro convinzioni si rafforzano, mentre se dialoga con qualcuno che che sostiene l'idea opposta, la situazione degenera velocemente in un litigio (bastano 3 post). Compito del divulgatore, secondo Walter Quattrociocchi, è quello di mantenere bassi i toni per evitare la polarizazione delle parti e mantenere aperto il dialogo. Per fare questo non bisogna partire dal presupposto che si parla a qualcuno per convincerlo, ma potrebbe anche avere ragione lui. La fiducia del pubblico non è innata, ma va conquistata post dopo post.
A questo punto è venuta dal pubblico la domanda: "I social, quanto sono veramente specchio del mondo reale?" La constatazione che mi viene da fare è che dipende. Per alcune persone quello che avviene per esempio su facebook è la realtà, la loro vita si svolge li e io penso che non si possa più ignorare il fenomeno o relegarlo all'età dell'adolescenza (periodo in cui, per altro, sarebbe importantissimo far capire il metodo scientifico).

L'importanza della complessità

Nell'ultimo intervento che ho seguito, Vincenzo Crupi, Franco Aprà e Fabrizio Elia affrontavano un tema fondamentale e cioè come comunicare la complessità della scienza. E' emerso infatti come spesso vengano troppo semplificati i concetti scientifici, per esempio negli articoli di giornale, e quasi snaturati. Infatti spesso il pubblico ha l'idea che la scienza trasmetta la Verità Assoluta, quando invece è l'esatto opposto: la scienza è fatta di domande, dubbi e probabilità. Questo è particolarmente vero in archeologia, dove, almeno fino all'invenzione della macchina del tempo, non potremmo mai essere certi al cento per cento che le nostre interpretazioni siano corrette. 
Dunque, come comunicare questa complessità e incertezza, senza spaventare il pubblico o dare un'idea sbagliata (e cioè che tutto sia lecito)?
La risposta non è semplice e nemmeno immediata. Nell'intervento si è parlato di come l'essere umano spesso preferisca la certezza quando la situazione è positiva (preferisci 500 euro subito o tiriamo la monetina: croce perdi tutto, testa ne vinci 1000?), mentre l'incertezza quando è negativa (hai 1000 euro, preferisci che te ne tolgo 500 subito o tiriamo la monetina: croce perdi tutto, testa tieni tutto?). Su questo concetto si basano anche tutti i giochi a premi che vediamo alla tv. 
Il fatto è che la certezza è inconscia, non ci devo pensare, è automatica, mentre la probabilità è conscia, ragionata e richiede uno sforzo maggiore. Da questo punto di vista sarebbe, a mio parere, utile allenare questa accettazione della probabilità e dell'incertezza fin dalla scuola. In questo senso rientra in gioco l'importanza della didattica fatta da esperti dei vari settori, in modo da dare la possibilità agli studenti di familiarizzare con il metodo scientifico. Metodo di pensiero che potrà essere applicato a tutte le scienze e anche alle situazioni della loro vita futura.

Vorrei concludere dicendo che sono stati due giorni davvero ricchi di spunti. Per quanto mi riguarda, credo che la parte didattica del mio lavoro, il consumarsi le suole nelle scuole, a contatto con bambini e ragazzi, sia la parte più importante e stimolante. Senza nulla togliere al lavoro di debunking e divulgazione che cerco di fare con questo blog. A questo proposito invito tutti i miei lettori a dialogare con me e mandarmi delle domande. Se leggete una notizia archeologica sul giornale che vi incuriosisce, scrivetemi!