mercoledì 19 ottobre 2016

Tutta colpa dei marziani

Appunti semio-archeologici sulle strategie della persuasione messe in atto dalle pseudoscienze.

di Mattia Thibault e Picco Agnese

In questi mesi estivi ho avuto il tempo di leggere alcuni libri a tema complottistico pseudo archeologico trovati in biblioteca. Avendoli letti uno di seguito all’altro ho notato alcuni espedienti che questi autori utilizzano, a volte consapevolmente, altre inconsciamente, per far entrare il lettore in sintonia con le loro teorie. Gli stessi metodi vengono anche utilizzati nei documentari televisivi e sui siti internet che riportano teorie pseudoscientifiche. In questo blog, assieme al semiologo Mattia Thibault, propongo qualche riflessione su questi dispositivi della cattiva informazione.
Un primo espediente è quello che ho chiamato “effetto fungo” e di cui ho già parlato in un post precedente (che potete leggere qui). In breve, viene ignorato il contesto storico che si trova attorno all’oggetto o al sito in esame, dando così l’impressione che quest’ultimo sia spuntato come un fungo, dal nulla e che quindi sia un’anomalia storica. La decontestualizzazione di un oggetto ne previene una corretta interpretazione, aprendo il capo a delle decodifiche aberranti, ovvero delle letture che non possono essere considerate come delle interpretazioni plausibili del testo archeologico, ma che consistono in quello che Umberto Eco definisce un “uso del testo”. Il “lettore” (ovvero chiunque analizzi il reperto) effettua delle operazioni semioticamente illecite andando a inserire a forza nel testo dei significati che non gli sono propri.
Questo espediente viene spesso usato quando si parla di oopart (i famosi oggetti fuori dal tempo), ma anche quando si vuole dimostrare che una tale tecnologia sia troppo avanzata per il periodo e dunque insegnata dagli alieni o retaggio di un passato tecnologicamente evoluto.
Un esempio in tal senso potrebbe essere l’introduzione della fusione dei metalli. I fautori di alcune teorie pseudoscientifiche infatti presentano questo importante evento storico come se fosse avvenuto dall’oggi al domani: improvvisamente l’uomo ha imparato la fusione dei metalli usandola per creare oggetti complessi. Se fosse questo il caso, si potrebbe veramente percepirlo come un evento anomalo. I ritrovamenti archeologici, però, ci dimostrano che la realtà è un'altra: fin dal neolitico l’uomo conosceva e utilizzava l’oro e il rame nativo (cioè presente in natura), e li lavorava battendoli con il martello per ricavarne piccoli oggetti d’ornamento. Successivamente si effettuarono i primi esperimenti di fusione dai quali venne scoperto il rame arsenicale e successivamente il bronzo (unendo rame e stagno). Solo dopo molti secoli e molte prove vennero creati oggetti complessi come le spille e i gioielli etruschi, le spade celtiche e così via. Il processo durò alcuni millenni e venne coinvolta una vasta area geografica. Sicuramente ci furono anche esperimenti non riusciti e tentativi andati a vuoto di cui, per ora, non abbiamo tracce archeologiche precise – probabilmente per il fatto che i risultati di tali esperimenti fossero difficilmente considerati degni di essere conservati e dunque rifusi per recuperare il metallo.
Un secondo espediente utilizzato dalle pseudoscienze può rientrare nella categoria delle analogie. In questo caso possiamo operare una ulteriore distinzione tra la falsa analogia e l’assonanza.
Nel primo caso l’autore si serve di un accostamento improprio di due fattori lontani nel tempo o nello spazio. L’ analogia viene creata basandosi su una sola proprietà che accomuna due contesti, ignorando tutto il contorno. Anche in questo caso i reperti o i siti vengono totalmente decontestualizzati al fine di rendere accettabile il collegamento.
L’esempio forse più usato dagli autori pseudoscientifici riguarda le piramidi. Il fatto che sia le piramidi egizie e quelle precolombiane siano state realizzate con muri a secco è spesso portato come “prova” di comunanza tra questi due contesti lontani nel tempo e nello spazio. A parte il fatto che, a ben guardare, gli egizi usarono blocchi di forma omogenea, mentre i muri precolombiani sembrano dei puzzle tanto i blocchi sono diversi per forma e dimensione, si tratta certamente di una coincidenza. Infatti basta fare un giro nelle campagne italiane per scoprire una vasta gamma di questi muretti, dai terrazzamenti collinari alle recinzioni di orti e frutteti. Questi contesti sono certamente molto lontani sia nello spazio che nel tempo da quelli sopra menzionati, eppure usano la stessa tecnica costruttiva. In questo caso, le somiglianze sono basate su tipologie comuni di sviluppo tecnologico che portano a risultati similari (il muretto a secco è la tipologia più semplice di tecnica muraria).
Per quanto riguarda invece l’assonanza, si tratta di richiamare nella mente del lettore due concetti all’apparenza simili in modo da portare quest’ultimo a collegarli tra loro. Potrebbe essere classificata come una analogia infondata, in quanto si basa solamente su una falsa suggestione. Questo è un meccanismo piuttosto semplice: basta tracciare alcune isotopie (i rimandi interni ad un testo) che colleghino tra loro discorsi differenti e, ancora una volta, decontestualizzati. Dopo che le isotopie sono state tracciate si viene a creare un effetto di senso che porta l'interprete superficiale a percepire i due discorsi come uno solo. Si tratta, evidentemente, di una fallacia logica, una sorta di falsa analogia che si nasconde sotto la confusione creata da molteplici riferimenti decontestualizzati.
Un esempio potrebbe essere questo: un autore vuole dimostrare che il cristianesimo è in realtà un culto solare che deriva da un lontano passato: portato in Palestina dal faraone Akhenaton è stato poi tramandato dagli esseni fino a Gesù. Una delle prove a favore sarebbe il fatto che il 22 dicembre, solstizio di inverno, il sole arriva nel punto più basso dell’orizzonte e sembra morire. Dopo tre giorni di stallo, l’astro riprende il suo percorso verso l’estate rinascendo così a nuova vita. Subito il lettore è portato ad associare il mese di dicembre al natale e il numero tre ai giorni che intercorrono tra la morte e la risurrezione di Gesù. In questo caso le somiglianze sono approssimative. Infatti, gli studiosi hanno spesso ritenuto che la festa del Natale fu posizionata il 25 dicembre per sostituire la festa romana in onore del “Sol Invictus” dedicata a Mitra. Recentemente però sono state avanzate altre teorie. Il ritrovamento dei rotoli del Mar Morto ha portato a ritenere che sia piuttosto il contrario: data l’antichità della festa cristiana, potrebbero essere stati i sacerdoti romani a posizionare la festa di Mitra nella stessa data nel tentativo di soppiantare il nascente culto di Gesù. Il richiamo ai tre giorni di morte apparente del sole è invece totalmente fuori posto. Infatti questo è un evento che il calendario cristiano ricorda a Pasqua, in primavera, e non a dicembre. In questo caso l’autore pseudoscientifico richiama alla mente del lettore delle parole e dei concetti (per esempio il numero tre, morte e rinascita-resurrezione, il mese di dicembre) che creano un’assonanza o un’associazione con altri contesti solo in parte o per niente collegati.
Un terzo strumento utilizzato dagli autori di libri e documentari pseudoscientifici è quello che possiamo chiamare il metodo “televendita”: ripetere più volte lo stesso concetto utilizzando spesso le stesse parole, come un ritornello o un tormentone, in modo da fissarlo bene nella mente del lettore.
L'utilizzo di “mantra” di frasi e concetti ripetuti ossessivamente è un dispositivo semiotico utilizzato frequentemente in diversi contesti. Lo si può trovare nella religione (il rosario), nella musica (i ritornelli), nella politica (gli slogan), come strumento comico (il tormentone) e in molti altri ambiti. Si basa sul principio che Eco definisce di “catacresi”: la frase, in virtù della sua ripetizione, non viene più interpretata parola per parola, ma diventa un segno a sé stante, con un significato stabile e facilmente identificabile. La ripetizione ossessiva crea un senso di familiarità con il concetto (una nevrotica conferma di ciò che è già stato detto) e dà un illusione di coerenza anche laddove non ce n'è.
Uno dei libri complottistici presi in esame sostiene ossessivamente che gli archeologi occultano le prove che dimostrerebbero l’infondatezza delle teorie classiche sugli sviluppi della società umana (ipotesi ovviamente inverosimile, basata sull'assunto che decine di migliaia di persone partecipino, senza mai sbagliare, ad un immenso complotto). In ogni pagina del libro queste accuse vengono ripetute più volte, tanto da rendere il libro spoglio di contenuto. Questo metodo, basato sulla manipolazione, ovviamente non può essere considerato scientificamente corretto. Infatti una teoria acquisisce validità in base alle prove portate a suo favore e non certo al numero di volte che viene ripetuta.
Infine un ultimo espediente è il risultato dell’utilizzo da parte degli autori pseudoscientifici dei metodi sopra elencati e potrebbe essere chiamato “castello di carte”. Prendendo in esame il modo di costruire una teoria, vengono portate a sostegno della propria tesi prove tutt’altro che documentate, andando via via a costruire immagini sempre più fantasiose e lontane dalla realtà dei fatti. Ovviamente, ad un esame strettamente scientifico, queste teorie crollano come un castello di carte, non poggiando su basi solide e condivise.
In altre parole, la teoria viene costruita su degli assunti non comprovati e si regge solo tramite rimandi interni. La prima affermazione non è messa in discussione, ma accettata per vera tramite un dispositivo simile, tutto sommato, alla sospensione dell'incredulità. Immediatamente, però, sorgono delle contraddizioni che mettono in dubbio la veridicità dell'affermazione. A questo punto, invece di scartarla, si va a fare una seconda affermazione che nuovamente forza la realtà, ma al contempo conferma la prima. Al sorgere di nuove contraddizioni verranno fatte nuove affermazioni e così via, creando una catena sintattica in cui ogni anello rimanda a quello precedente senza, però, che ci sia un aggancio fattuale all'inizio. Si tratta dello stesso meccanismo alla base della commedia degli equivoci, in cui un fraintendimento iniziale porta ad una sistematica interpretazione errata di tutto ciò che segue – ma in questo caso la decodifica aberrante è presa per buona e la teoria presentata come veritiera.
Un esempio potrebbe essere ancora volta tratto dal mondo biblico. Secondo alcune teorie infatti, Mosè avrebbe ricevuto da quello che lui credeva Dio, ma che erano invece entità extraterrestri, l’ordine di costruire l’arca con misure precise, riportate nel testo sacro. Un ricercatore moderno ha effettivamente ricostruito un’arca a grandezza naturale seguendo queste indicazioni. Seppur molto grande, questa barca non può certo contenere una coppia di ogni animale presente sulla terra e dunque, secondo questa fantasiosa teoria, conteneva solo il Dna di questi animali. Si vede subito come questa affermazione non abbia basi solide. Prima di tutto bisognerebbe dimostrare che Noè sia un personaggio realmente esistito e non una figura mitica, come molti studiosi credono. Anche il fatto che il Dio di Noè sia effettivamente un’entità aliena richiede molte più prove di quelle ad oggi portate a sostegno della tesi. Infine l’effettiva storicità dell’esistenza dell'arca stessa è tutt’altro che dimostrata e gli studiosi ritengono che sia piuttosto da collocare nel mito. Insomma, prendendo come punto di partenza un affermazione tutt'altro che comprovata – che Mosè sia esistito davvero e abbia costruito una barca che contenesse una coppia di tutti gli animali – se ne evidenzia una contraddizione – la barca non può essere abbastanza grande – ma invece che rivedere la prima affermazione se ne fa una seconda (ugualmente sena prove) che risolva in qualche modo la contraddizione – l'arca era una banca del DNA.
Questa breve carrellata di esempi dovrebbe essere sufficiente a mostrare come i discorsi pseudo-archeologici evitino accuratamente di confrontarsi con la scienza sul suo stesso terreno, ma preferiscano opporle delle strategie della persuasione. Infatti, se la scienza si basa sul metodo galileiano della deduzione in cui prima si raccolgono le prove e poi da queste si elabora una teoria, le pseudo-scienze spesso procedono al contrario. Gli autori devono per cui si affidarsi a diversi espedienti semiotici e a comuni fallacie logiche per impostare un discorso che è al contempo altamente ideologico e lontanissimo dalla fattualità. Se la cosa non ci sorprende – l'obiettivo di questi signori è di dare le loro opere in pasto ad un pubblico assetato di contro-verità in cambio di un bel mucchio di quattrini – è comunque un campanello d'allarme che sottolinea, ancora una volta, la fondamentale importanza di educare l'intera cittadinanza (e non solo un ristretto gruppo di esperti, spesso percepiti come élite) alle basi del metodo scientifico e della corretta interpretazione dei testi.