Appunti semio-archeologici sulle strategie della persuasione messe in atto dalle pseudoscienze.
di Mattia Thibault e Picco Agnese
In questi mesi estivi ho
avuto il tempo di leggere alcuni libri a tema complottistico pseudo
archeologico trovati in biblioteca. Avendoli letti uno di seguito
all’altro ho notato alcuni espedienti che questi autori utilizzano,
a volte consapevolmente, altre inconsciamente, per far entrare il
lettore in sintonia con le loro teorie. Gli stessi metodi vengono
anche utilizzati nei documentari televisivi e sui siti internet che
riportano teorie pseudoscientifiche. In questo blog, assieme al
semiologo Mattia Thibault, propongo qualche riflessione su questi
dispositivi della cattiva informazione.
Un primo espediente è
quello che ho chiamato “effetto fungo” e di cui ho già
parlato in un post precedente (che potete leggere qui). In breve,
viene ignorato il contesto storico che si trova attorno all’oggetto
o al sito in esame, dando così l’impressione che quest’ultimo
sia spuntato come un fungo, dal nulla e che quindi sia un’anomalia
storica. La decontestualizzazione di un oggetto ne previene una
corretta interpretazione, aprendo il capo a delle decodifiche
aberranti, ovvero delle letture che non possono essere
considerate come delle interpretazioni plausibili del testo
archeologico, ma che consistono in quello che Umberto Eco definisce
un “uso del testo”. Il “lettore” (ovvero chiunque analizzi il
reperto) effettua delle operazioni semioticamente illecite andando a
inserire a forza nel testo dei significati che non gli sono propri.
Questo espediente viene
spesso usato quando si parla di oopart (i famosi oggetti fuori dal
tempo), ma anche quando si vuole dimostrare che una tale tecnologia
sia troppo avanzata per il periodo e dunque insegnata dagli alieni o
retaggio di un passato tecnologicamente evoluto.
Un esempio in tal senso
potrebbe essere l’introduzione della fusione dei metalli. I fautori
di alcune teorie pseudoscientifiche infatti presentano questo
importante evento storico come se fosse avvenuto dall’oggi al
domani: improvvisamente l’uomo ha imparato la fusione dei metalli
usandola per creare oggetti complessi. Se fosse questo il caso, si
potrebbe veramente percepirlo come un evento anomalo. I ritrovamenti
archeologici, però, ci dimostrano che la realtà è un'altra: fin
dal neolitico l’uomo conosceva e utilizzava l’oro e il rame
nativo (cioè presente in natura), e li lavorava battendoli con il
martello per ricavarne piccoli oggetti d’ornamento. Successivamente
si effettuarono i primi esperimenti di fusione dai quali venne
scoperto il rame arsenicale e successivamente il bronzo (unendo rame
e stagno). Solo dopo molti secoli e molte prove vennero creati
oggetti complessi come le spille e i gioielli etruschi, le spade
celtiche e così via. Il processo durò alcuni millenni e
venne coinvolta una vasta area geografica. Sicuramente ci furono
anche esperimenti non riusciti e tentativi andati a vuoto di cui, per
ora, non abbiamo tracce archeologiche precise – probabilmente per
il fatto che i risultati di tali esperimenti fossero difficilmente
considerati degni di essere conservati e dunque rifusi per recuperare
il metallo.
Un secondo espediente
utilizzato dalle pseudoscienze può rientrare nella categoria delle
analogie. In questo caso possiamo operare una ulteriore distinzione
tra la falsa analogia e l’assonanza.
Nel primo caso l’autore
si serve di un accostamento improprio di due fattori lontani nel
tempo o nello spazio. L’ analogia viene creata basandosi su una
sola proprietà che accomuna due contesti, ignorando tutto il
contorno. Anche in questo caso i reperti o i siti vengono totalmente
decontestualizzati al fine di rendere accettabile il collegamento.
L’esempio forse più
usato dagli autori pseudoscientifici riguarda le piramidi. Il fatto
che sia le piramidi egizie e quelle precolombiane siano state
realizzate con muri a secco è spesso portato come “prova” di
comunanza tra questi due contesti lontani nel tempo e nello spazio. A
parte il fatto che, a ben guardare, gli egizi usarono blocchi di
forma omogenea, mentre i muri precolombiani sembrano dei puzzle tanto
i blocchi sono diversi per forma e dimensione, si tratta certamente
di una coincidenza. Infatti basta fare un giro nelle campagne
italiane per scoprire una vasta gamma di questi muretti, dai
terrazzamenti collinari alle recinzioni di orti e frutteti. Questi
contesti sono certamente molto lontani sia nello spazio che nel tempo
da quelli sopra menzionati, eppure usano la stessa tecnica
costruttiva. In questo caso, le somiglianze sono basate su tipologie
comuni di sviluppo tecnologico che portano a risultati similari (il
muretto a secco è la tipologia più semplice di tecnica muraria).
Per quanto riguarda
invece l’assonanza, si tratta di richiamare nella mente del lettore
due concetti all’apparenza simili in modo da portare quest’ultimo
a collegarli tra loro. Potrebbe essere classificata come una
analogia infondata, in quanto si basa solamente su una falsa
suggestione. Questo è un meccanismo piuttosto semplice: basta
tracciare alcune isotopie (i rimandi interni ad un testo) che
colleghino tra loro discorsi differenti e, ancora una volta,
decontestualizzati. Dopo che le isotopie sono state tracciate si
viene a creare un effetto di senso che porta l'interprete
superficiale a percepire i due discorsi come uno solo. Si tratta,
evidentemente, di una fallacia logica, una sorta di falsa analogia
che si nasconde sotto la confusione creata da molteplici riferimenti
decontestualizzati.
Un esempio potrebbe
essere questo: un autore vuole dimostrare che il cristianesimo è in
realtà un culto solare che deriva da un lontano passato: portato in
Palestina dal faraone Akhenaton è stato poi tramandato dagli esseni
fino a Gesù. Una delle prove a favore sarebbe il fatto che il 22
dicembre, solstizio di inverno, il sole arriva nel punto più basso
dell’orizzonte e sembra morire. Dopo tre giorni di stallo, l’astro
riprende il suo percorso verso l’estate rinascendo così a nuova
vita. Subito il lettore è portato ad associare il mese di dicembre
al natale e il numero tre ai giorni che intercorrono tra la morte e
la risurrezione di Gesù. In questo caso le somiglianze sono
approssimative. Infatti, gli studiosi hanno spesso ritenuto che la
festa del Natale fu posizionata il 25 dicembre per sostituire la
festa romana in onore del “Sol Invictus” dedicata a Mitra.
Recentemente però sono state avanzate altre teorie. Il ritrovamento
dei rotoli del Mar Morto ha portato a ritenere che sia piuttosto il
contrario: data l’antichità della festa cristiana, potrebbero
essere stati i sacerdoti romani a posizionare la festa di Mitra nella
stessa data nel tentativo di soppiantare il nascente culto di Gesù.
Il richiamo ai tre giorni di morte apparente del sole è invece
totalmente fuori posto. Infatti questo è un evento che il calendario
cristiano ricorda a Pasqua, in primavera, e non a dicembre. In questo
caso l’autore pseudoscientifico richiama alla mente del lettore
delle parole e dei concetti (per esempio il numero tre, morte e
rinascita-resurrezione, il mese di dicembre) che creano un’assonanza
o un’associazione con altri contesti solo in parte o per niente
collegati.
Un terzo strumento
utilizzato dagli autori di libri e documentari pseudoscientifici è
quello che possiamo chiamare il metodo “televendita”:
ripetere più volte lo stesso concetto utilizzando spesso le stesse
parole, come un ritornello o un tormentone, in modo da fissarlo bene
nella mente del lettore.
L'utilizzo di “mantra”
di frasi e concetti ripetuti ossessivamente è un dispositivo
semiotico utilizzato frequentemente in diversi contesti. Lo si può
trovare nella religione (il rosario), nella musica (i ritornelli),
nella politica (gli slogan), come strumento comico (il tormentone) e
in molti altri ambiti. Si basa sul principio che Eco definisce di
“catacresi”: la frase, in virtù della sua ripetizione, non viene
più interpretata parola per parola, ma diventa un segno a sé
stante, con un significato stabile e facilmente identificabile. La
ripetizione ossessiva crea un senso di familiarità con il concetto
(una nevrotica conferma di ciò che è già stato detto) e dà un
illusione di coerenza anche laddove non ce n'è.
Uno dei libri
complottistici presi in esame sostiene ossessivamente che gli
archeologi occultano le prove che dimostrerebbero l’infondatezza
delle teorie classiche sugli sviluppi della società umana (ipotesi
ovviamente inverosimile, basata sull'assunto che decine di migliaia
di persone partecipino, senza mai sbagliare, ad un immenso
complotto). In ogni pagina del libro queste accuse vengono ripetute
più volte, tanto da rendere il libro spoglio di contenuto. Questo
metodo, basato sulla manipolazione, ovviamente non può essere
considerato scientificamente corretto. Infatti una teoria acquisisce
validità in base alle prove portate a suo favore e non certo al
numero di volte che viene ripetuta.
Infine un ultimo
espediente è il risultato dell’utilizzo da parte degli autori
pseudoscientifici dei metodi sopra elencati e potrebbe essere
chiamato “castello di carte”. Prendendo in esame il modo
di costruire una teoria, vengono portate a sostegno della propria
tesi prove tutt’altro che documentate, andando via via a costruire
immagini sempre più fantasiose e lontane dalla realtà dei fatti.
Ovviamente, ad un esame strettamente scientifico, queste teorie
crollano come un castello di carte, non poggiando su basi solide e
condivise.
In altre parole, la
teoria viene costruita su degli assunti non comprovati e si regge
solo tramite rimandi interni. La prima affermazione non è messa in
discussione, ma accettata per vera tramite un dispositivo simile,
tutto sommato, alla sospensione dell'incredulità. Immediatamente,
però, sorgono delle contraddizioni che mettono in dubbio la
veridicità dell'affermazione. A questo punto, invece di scartarla,
si va a fare una seconda
affermazione che nuovamente forza la realtà, ma al contempo conferma
la prima. Al sorgere di nuove contraddizioni verranno fatte nuove
affermazioni e così via, creando una catena sintattica in cui ogni
anello rimanda a quello precedente senza, però, che ci sia un
aggancio fattuale all'inizio. Si tratta dello stesso meccanismo alla
base della commedia degli equivoci, in cui un fraintendimento
iniziale porta ad una sistematica interpretazione errata di tutto ciò
che segue – ma in questo caso la decodifica aberrante è presa per
buona e la teoria presentata come veritiera.
Un
esempio potrebbe essere ancora volta tratto dal mondo biblico.
Secondo alcune teorie infatti, Mosè avrebbe ricevuto da quello che
lui credeva Dio, ma che erano invece entità extraterrestri, l’ordine
di costruire l’arca con misure precise, riportate nel testo sacro.
Un ricercatore moderno ha effettivamente ricostruito un’arca a
grandezza naturale seguendo queste indicazioni. Seppur molto grande,
questa barca non può certo contenere una coppia di ogni animale
presente sulla terra e dunque, secondo questa fantasiosa teoria,
conteneva solo il Dna di questi animali. Si vede subito come questa
affermazione non abbia basi solide. Prima di tutto bisognerebbe
dimostrare che Noè sia un personaggio realmente esistito e non una
figura mitica, come molti studiosi credono. Anche il fatto che il Dio
di Noè sia effettivamente un’entità aliena richiede molte più
prove di quelle ad oggi portate a sostegno della tesi. Infine
l’effettiva storicità dell’esistenza dell'arca stessa è
tutt’altro che dimostrata e gli studiosi ritengono che sia
piuttosto da collocare nel mito. Insomma, prendendo come punto di
partenza un affermazione tutt'altro che comprovata – che Mosè sia
esistito davvero e abbia costruito una barca che contenesse una
coppia di tutti gli animali – se ne evidenzia una contraddizione –
la barca non può essere abbastanza grande – ma invece che rivedere
la prima affermazione se ne fa una seconda (ugualmente sena prove)
che risolva in qualche modo la contraddizione – l'arca era una
banca del DNA.
Questa breve carrellata
di esempi dovrebbe essere sufficiente a mostrare come i discorsi
pseudo-archeologici evitino accuratamente di confrontarsi con la
scienza sul suo stesso terreno, ma preferiscano opporle delle
strategie della persuasione. Infatti, se la scienza si basa
sul metodo galileiano della deduzione in cui prima si raccolgono le
prove e poi da queste si elabora una teoria, le pseudo-scienze spesso
procedono al contrario. Gli autori devono per cui si affidarsi a
diversi espedienti semiotici e a comuni fallacie logiche per
impostare un discorso che è al contempo altamente ideologico e
lontanissimo dalla fattualità. Se la cosa non ci sorprende –
l'obiettivo di questi signori è di dare le loro opere in pasto ad un
pubblico assetato di contro-verità in cambio di un bel mucchio di
quattrini – è comunque un campanello d'allarme che sottolinea,
ancora una volta, la fondamentale importanza di educare l'intera
cittadinanza (e non solo un ristretto gruppo di esperti, spesso
percepiti come élite) alle basi del metodo scientifico e della
corretta interpretazione dei testi.